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La rivendita di alloggi di edilizia convenzionata – L’edilizia residenziale pubblica

La rivendita di alloggi di edilizia convenzionata – L’edilizia residenziale pubblica

Le norme che regolano l’edilizia residenziale pubblica convenzionata e agevolata sono state introdotte per consentire ai soggetti aventi determinati requisiti (legati essenzialmente al reddito e alla composizione del nucleo famigliare) di acquisire la proprietà di un’abitazione a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, grazie alla stipula di una convenzione tra il Comune e la società costruttrice, che riceve l’assegnazione di specifiche aree destinate all’edificazione di questo tipo di alloggi, e gode della riduzione dei contributi da versare per la costruzione.
Grazie a queste agevolazioni, la vendita degli alloggi da parte del costruttore può avvenire a un prezzo ridotto, a favore degli acquirenti aventi i requisiti previsti dalla legge.
Per evitare speculazioni, sono state previste limitazioni alla possibilità di rivendita degli alloggi acquisiti in questo modo (e alla loro locazione). Queste limitazioni sono state riportate nelle convenzioni, e di norma richiamate anche nei successivi atti di rivendita degli alloggi da parte dei privati.
L’interpretazione di queste regole è però resa difficile dalle numerose modifiche apportate dal legislatore nel corso degli anni, spesso in modo approssimativo e non coordinato.

I limiti originari della legge 865/1971

I limiti previsti dall’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 avevano per oggetto:
– un periodo iniziale in cui la rivendita e la locazione dell’alloggio non erano consentite, salvo eccezioni legate a situazioni particolari;
– la successiva possibilità di rivendere l’alloggio (o concederlo in locazione) soltanto a favore di soggetti aventi i requisiti previsti dalla legge per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (requisiti soggettivi);
– un limite massimo del prezzo di rivendita dell’alloggio (o del canone di locazione), stabilito sulla base di criteri indicati dalla legge o dalla convenzione.
La legge 22 ottobre 1971, n. 865, prevedeva originariamente, per gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in proprietà, il divieto di rivendita per i primi dieci anni dal rilascio della licenza di abitabilità; successivamente l’alloggio poteva essere rivenduto soltanto ai soggetti in possesso dei requisiti previsti dalla legge per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, e al prezzo massimo stabilito dalla legge. In caso di violazione di questi limiti, era prevista la nullità dell’atto di rivendita.
Le stesse limitazioni erano abitualmente previste dalle convenzioni per gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in diritto di superficie, pur in mancanza di una specifica disciplina legislativa. In questo caso, però, si riteneva trattarsi di semplici divieti contrattuali di rivendita, con effetti solo tra le parti (quelle che hanno firmato la convenzione o sono subentrate nella stessa) e non nei confronti dei terzi, e che non possono incidere sulla validità del contratto di vendita eventualmente stipulato, cioè non possono in nessun caso determinarne la nullità, ma possono soltanto far sorgere un obbligo al risarcimento da parte del venditore per l’inadempimento di un impegno assunto nei confronti del Comune.

L’abrogazione dei limiti della legge 865/1971

Le norme di legge che prevedevano il divieto di alienazione sono state successivamente abrogate con effetto dal 15 marzo 1992 (art. 23 della legge 17 febbraio 1992, n. 179, la cosiddetta legge “Ferrarini-Botta”, modificato dall’art. 3 della legge 28 gennaio 1994, n. 85).
Si era quindi diffusa l’interpretazione, confermata anche dalla Corte di Cassazione, secondo cui gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in proprietà potevano essere rivenduti in qualsiasi momento (salva l’applicazione del divieto di rivendita per i primi cinque anni, in presenza di un mutuo agevolato concesso per l’acquisto dell’alloggio), a chiunque (senza più necessità di rispettare i requisiti soggettivi), ma anche a qualsiasi prezzo, cioè senza più dover rispettare un prezzo massimo per la rivendita.
Ciò valeva sia per i vincoli previsti da “convenzioni PEEP” stipulate ai sensi della legge 22 ottobre 1971, n. 865, anche prima del 15 marzo 1992 (Cass. 10 novembre 2008, n. 26915), sia per quelle stipulate ai sensi della legge 1977, n. 10, la cosiddetta “legge Bucalossi” (Cass. 4 aprile 2011, n. 7630; Cass. 2 ottobre 2000, n 13006).
Essendo venuti meno i vincoli previsti dalla legge, rimanevano in vigore soltanto le limitazioni eventualmente disposte dalle convenzioni stipulate tra il Comune e la società costruttrice, sia per gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in proprietà (se la convenzione, pur essendo stipulata prima del 15 marzo 1992, conteneva disposizioni che si discostavano dalla disciplina legale, oppure se la convenzione era stata stipulata a partire dal 15 marzo 1992, dopo l’abrogazione dei limiti di legge), sia per gli alloggi di edilizia convenzionata assegnati in diritto di superficie (per i quali, in mancanza di una specifica disciplina legislativa, non poteva che trattarsi di limitazioni contrattuali).
In ogni caso, queste limitazioni potevano produrre effetti solo tra le parti e non nei confronti dei terzi, e non potevano incidere sulla validità del contratto di vendita eventualmente stipulato, cioè non potevano determinarne la nullità, ma soltanto far sorgere un obbligo al risarcimento da parte del venditore per l’inadempimento di un impegno assunto nei confronti del Comune.

Rimuovere i limiti alla rivendita con l’accordo del Comune

Successivamente la legge ha previsto la possibilità di rimuovere il vincolo relativo al prezzo massimo di rivendita degli alloggi di edilizia convenzionata, stipulando con il Comune un atto di modifica della convenzione originaria, a fronte del pagamento di un corrispettivo (art. 5 comma 4-bis del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito nella legge 12 luglio 2011, n. 106, che ha introdotto i commi 49-bis e 49-ter all’art. 31 della legge 448/1998).
Inizialmente questo corrispettivo doveva essere determinato con decreto ministeriale, ma in seguito la competenza a determinare il corrispettivo è stata attribuita direttamente ai singoli Comuni (art. 29, comma 16-undecies, del decreto legge 29 dicembre 2011, n. 216, aggiunto dalla legge di conversione 24 febbraio 2012, n. 14).
Diversi Comuni hanno assunto delibere per consentire l’esercizio di questo diritto. Per esempio, il Comune di Pavia ha assunto la delibera n. 56/12 dell’11 dicembre 2012. In seguito alla stipula della convenzione modificativa, è possibile vendere l’alloggio a qualsiasi persona e per qualsiasi prezzo, senza alcun limite.

Il limite massimo al prezzo di rivendita

Recentemente la Corte di Cassazione, modificando il proprio precedente orientamento, ha affermato l’applicabilità del limite massimo al prezzo di rivendita degli alloggi di edilizia convenzionata, nonostante l’abrogazione dei vincoli previsti dall’art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, che secondo la nuova interpretazione della Suprema Corte avrebbe comportato il venir meno del divieto di alienazione decennale e dei requisiti soggettivi per i successivi acquirenti, ma non del prezzo massimo di rivendita.
Secondo la Corte di Cassazione, ciò si ricava dal decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, che ha introdotto la possibilità di rimuovere il vincolo relativo al prezzo massimo di rivendita degli alloggi di edilizia convenzionata. La Suprema Corte ha fatto notare che se la legge ha previsto la possibilità di rimuovere il vincolo, ciò significa che il vincolo del prezzo massimo di rivendita è ancora in vigore, e può essere eliminato soltanto per effetto di apposita convenzione (da redigere nella forma di atto pubblico, e soggetta a trascrizione), e in mancanza di questa il vincolo segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita (Cass. SS.UU. 16 settembre 2015, n. 18135; Cass. 3 gennaio 2017, n. 21; Cass. 4 dicembre 2017 n. 28949).
La Corte di Cassazione si è pronunciata relativamente a casi di rivendita della piena proprietà, ma nelle motivazioni ha affermato la validità di queste argomentazioni anche per la rivendita di alloggi assegnati in piena proprietà.
La nuova interpretazione fornita dalla Suprema Corte è stata oggetto di critiche da parte della dottrina, ma la sua autorevolezza deve indurci alla massima prudenza nell’affrontare questi argomenti.
Alcuni Comuni hanno già adottato nuove delibere in conformità alla nuova interpretazione della Corte di Cassazione, confermando la necessità di stipulare una specifica convenzione per rimuovere il vincolo del prezzo massimo nella rivendita degli alloggi di edilizia convenzionata. Altri Comuni, tra cui il Comune di Pavia, stanno valutando come modificare le delibere precedentemente assunte in questa materia.

Notaio Paolo Tonalini
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tonalini.it

Pubblicato venerdì, 04 maggio 2018 in Edilizia pubblica residenziale

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